Emilia Antonia De Vivo è architetta ed urbanista: oggi lavora come giornalista e come organizzatrice di viaggi che si rivolgono al target degli architetti. Ci siamo conosciute su Instagram – sempre di più un nido di incontri interessanti – e finalmente oggi racconto la sua esperienza, che ancora una volta mi fa pensare a quanto sia poliedrica la nostra formazione e alle molteplici possibilità in cui può essere declinata.
E poi diciamocelo, unire la passione per l’architettura a quella per i viaggi: chi non lo vorrebbe?!
Dimmi subito a bruciapelo: come sono gli architetti in viaggio?
Può sembrare una controsenso che un architetto scelga di partire per un viaggio organizzato da qualcun altro e di farsi guidare nell’esplorazione di una città – e lo dico perché credo che io non lo farei – ma i colleghi che partono con me sono generalmente talmente impegnati nella vita professionale da delegare volentieri ad altri la costruzione di un itinerario di loro sicuro interesse.
Di certo gli architetti sono abituati a viaggiare, reggono ritmi sostenuti, sono partecipativi, e la loro curiosità non si spegne neanche a fine giornata, tanto che le cene finiscono per essere occasione di dibattito su quello che si è visto durante il giorno.
Si sa che noi architetti ogni tanto siamo un po’ saccenti, e capita a volte che ci sia qualcuno che abbia studiato la lezione a casa e voglia dimostrarlo, ma ormai ho l’esperienza per riconoscere tutte le tipologie di persona che mi trovo davanti e sono in grado di comportarmi di conseguenza.
In genere comunque nel gruppo si forma un bel clima: la nuova esperienza comune e la vasta mole di informazioni concentrate in pochi giorni fanno sì che anche l’aspetto emozionale sia centrale, tanto che quando si arriva ai saluti finali spunti ogni tanto qualche lacrima e che ci sia chi mi dice, a distanza di tempo, di avere nostalgia della mia voce narrante negli auricolari.
Qual è il plus dei viaggi che organizzi?
Si tratta di viaggi studio per i quali vengono riconosciuti dei crediti formativi. Una delle proposte più apprezzate è la visita a studi di architettura locali oppure a cantieri aperti nelle città che visitiamo. Nei cantieri è ovviamente tutto più complicato per ragioni di sicurezza, gli studi invece ci accolgono volentieri: fra quelli nei quali faccio ormai tappa fissa ci sono Foster and Partners e Zaha Hadid Architects a Londra oppure MVRDV a Rotterdam, ma capita di visitare anche studi più piccoli e meno conosciuti, con i quali poter fare anche un paragone della realtà professionale fra il nostro paese e quello che ci ospita.
Come sei arrivata al lavoro che fai oggi? Partiamo dalla tua formazione.
Mi sono laureata in architettura a Napoli, ma ho una formazione urbanistica, ed ho sempre vissuto in quel clima di opposizione e rispetto che si respira fra le due discipline. Dopo la laurea ho seguito un master e ottenuto una doppia specializzazione post laurea in Italia e Spagna.
A Napoli ho anche insegnato a contratto, per 8 anni, in un laboratorio di urbanistica all’Università degli Studi “Federico II” e sempre a Napoli è legata la prima parte dell’attività lavorativa del mio studio professionale. Ho collaborato e ricevuto incarichi per la redazione di piani regolatori per alcuni comuni fra la Campania e il Lazio: il lavoro era tanto, e quello che mi portavo a casa ben poco, in proporzione, ma quando adori il lavoro che fai non ti accorgi delle energie spese e continui a crederci.
Contemporaneamente svolgevo ricerca universitaria: tra i lavori più belli ricordo lo studio analitico sui Porti Turistici della Campania per il progetto comunitario Posidonia e la mappatura delle attrezzature scolastiche della mia regione – ricerca che sarebbe oggi di ampio utilizzo, ma che ristagna dimenticata negli archivi pubblici.
Cosa ha cambiato le carte in tavola?
La mia vita personale. Mio marito lavorava negli Stati Uniti e dell’America mi raccontava una mentalità lavorativa completamente diversa da quella italiana, tanto che abbiamo considerato più volte anche un mio trasferimento. Di certo non era facile vivere distanti: per 12 anni sono andata avanti lavorando come una pazza per 40 giorni e trascorrendo i successivi 40 in vacanza a casa o in viaggio con lui. L’idea può non sembrare male, ma alla lunga era necessario un ricongiungimento familiare. Nel 2008 lui è stato trasferito a Londra e, complice l’inizio della crisi economica, ho deciso finalmente anch’io di cambiare vita.
Come è stato trasferirsi a Londra?
Trasferire in blocco la tua vita altrove è impegnativo da ogni punto di vista. Londra è una città meravigliosa, così ricca di stimoli, per tutti, ma in particolare per chi fa la nostra professione. Oggi posso dire che è diventata la mia città adottiva, il luogo in cui mi riconosco di più per mente e cuore.
Nella scrittura ho trovato il canale attraverso il quale esprimere questa esperienza: di mia iniziativa ho cominciato ad inviare a Domus quasi un articolo al giorno, narrando storie che avevano al centro l’architettura, e parlando di come, a Londra più che altrove, progettare e costruire risulti il modo più diretto per esprimere la vita di una città. Hanno cominciato a pubblicarmi fin da subito e la collaborazione come corrispondente londinese è andata avanti per un bel po’.
Parallelamente ho iniziato a scrivere un blog, Mirtilli di Londra, nel quale continuavo ad esplorare il tema. Il blog è attivo ancora oggi, seppure un po’ trascurato.
Nello stesso periodo ho iniziato una collaborazione con Gambero Rosso sul tema cibo e città. Scrivevo dei quartieri londinesi più cool e delle aperture di nuovi ristoranti progettati dagli architetti di fama.
In Gran Bretagna mi sono anche iscritta al National Union of Journalist, una specie di albo dei giornalisti inglesi, grazie ad una procedura molto semplificata rispetto a quanto non avvenga in Italia.
A Londra è avvenuta in me una mutazione profonda, forse perché è un posto che riesce a dar spazio alle potenzialità che ci portiamo dentro.
Come hai iniziato a dare struttura a tutto questo lavoro?
La svolta per me è arrivata quando Domus mi ha commissionato una vera e propria guida dell’architettura di Londra. Ne è seguito un anno di lavoro e una pubblicazione sia cartacea sia in app digitale, tradotta anche in inglese. La “Domus London Architecture Guide 2011” – ora non più in circolazione per mancanza di fondi per l’aggiornamento – raccoglieva più di ottanta siti di architettura, fra edifici, librerie, gallerie d’arte. Mie erano le descrizioni ed anche le fotografie.
La scelta editoriale era di raccontare l’architettura in maniera semplice. La mia idea è stata quella di proporre una lettura urbana dell’architettura, propria del mio punto di vista, centrato sulla composizione critica delle scale diverse che compongono una città. Non solo il racconto dell’edificio, ma uno sguardo su tutto ciò che si trova al suo contorno, per poterlo calare nel suo contesto e per dare un’idea dell’aria che gli si respira intorno. Il target a cui la guida si rivolgeva era un pubblico già preparato sulla materia, che quindi si sarebbe fatto ben poco della semplice descrizione dell’architettura di un edificio.
E come sei arrivata ad occuparti di viaggi per architetti?
Dallo scrivere una guida ad organizzare un viaggio il passo è stato breve. Può sembrare strano, ma in quel momento in pochi si occupavano di questo settore: ho cominciato a collaborare con agenzie italiane che mi contattavano per fare da guida locale a Londra per gruppi di turisti interessati all’architettura e da quel momento non ho più smesso.
Ancora adesso il mio lavoro di giornalista è un supporto essenziale all’attività di organizzazione di viaggi di architettura e credo che proprio questo sia stato il meccanismo che mi ha portata naturalmente da una cosa all’altra. Solo scrivere di una località dopo averla vissuta, e approfondirne la conoscenza articolo dopo articolo, mi regala la confidenza necessaria a sentirmi in grado da fare da guida ad altri su quelle stesse strade.
In che modo il ritorno in Italia ha cambiato il tuo lavoro?
Nel 2015 siamo andati a vivere a Milano, sempre a seguito di un trasferimento di mio marito. E’ venuto da sé che in qualche modo ho dovuto nuovamente ricominciare da capo, anche in campo lavorativo.
Grazie ai suggerimenti di alcuni miei contatti, ho partecipato alla Fiera di Rimini, la TTG Travel Experience, che mi ha portata al primo viaggio stampa in Sicilia, che aveva come obiettivo la promozione delle isole Eolie ad agenzie, tour operator e buyers internazionali. Ho preparato una presentazione che illustrasse il mio progetto sul viaggio di architettura – in che cosa consiste, a chi si rivolge – e sono partita con il gruppo dei blogger e dei giornalisti: è stata un’esperienza fondamentale che mi ha aperto un mondo nuovo, sul quale si è strutturato il mio futuro da quel momento. Era il mese di ottobre di tre anni fa: da allora ho cominciato a chiamare lavoro l’attività che già svolgevo da anni.
Organizzare viaggi di architettura è oggi il mio principale impegno: le destinazioni in Europa si sono moltiplicate, ormai copriamo le capitali di richiamo culturale e molti circuiti di nicchia per architetti, come il Bauhaus di Weimar o la Svizzera di Herzog e De Meuron. Tra le mete intercontinentali si sono aggiunte il Giappone e New York.
In che cosa consiste esattamente il tuo lavoro?
La formula principale potrebbe essere questa: parto da sola per il viaggio stampa e raccolgo un archivio di luoghi, storie e contatti su cui costruisco minuziosamente l’itinerario. Una volta confezionata la proposta contatto gli ordini professionali e le agenzie per l’inserimento del viaggio in calendario e per la promozione.
Il viaggio stampa è per me il primo avvicinamento alla costruzione del progetto di viaggio. In Europa generalmente si tratta di tre o quattro giorni dedicati all’esplorazione urbana, con il supporto di enti e agenzie che promuovono la destinazione in tema di hotel e ospitalità, ristoranti e luoghi di interesse. Sul posto sta a me sviluppare i contatti tematici, cioè quelli inerenti il taglio che voglio dare al mio viaggio. Nel mio caso, quindi, tutto ciò che ruota attorno al mondo dell’architettura: musei, location particolari, nuovi edifici, spazi espositivi, studi professionali.
Tornata a casa seguono almeno due mesi di lavoro in cui devo studiare tutto l’itinerario che intendo proporre, fino ai minimi dettagli, orologio – o Google Maps – alla mano. Quando tutto è pronto – e può essere trascorso anche un anno dal viaggio stampa – il progetto viene proposto ai tour operator del settore: al momento, ad esempio, collaboro con un’agenzia svizzera, Atlante Viaggi.
La costruzione dell’itinerario però non finisce prima della partenza: faccio sempre in modo che il viaggio sia flessibile per poter essere ricalibrato in tempo reale, quando arriviamo sul posto, a seconda del gruppo che mi trovo di fronte.
Quali saranno i tuoi prossimi viaggi e progetti?
I prossimi viaggi già organizzati mi vedranno naturalmente a Londra e poi a Chicago e a Singapore-Hong Kong, mentre fra le destinazioni previste per il 2019 ci sono Tokyo, la Scozia e l’Olanda. Un viaggio già progettato e non ancora andato in porto vede come meta Miami, che cerco di proporre in una chiave molto diversa dall’immagine comune che si ha di questa città.
Per quanto riguarda l’attività giornalistica, da poco ho iniziato a scrivere per Elle Decor, collaborazione che va ad aggiungersi a quelle ormai consolidate con Artribune, Style Magazine del Corriere della Sera e Marie Claire.
Il sogno nel cassetto che sto coltivando da tempo è un progetto editoriale che miri a colmare quella che ritengo una lacuna nell’offerta di mercato: la realizzazione di un nuovo concetto di libro di viaggio sulle città – un bookazine, potremmo chiamarlo – che sappia riunire in un’unica fonte sia le informazioni più generiche di una guida classica, sia le nozioni più tecniche sull’architettura di libri come quelli dell’American Institute of Architects, sia le curiosità più glamour e attuali di magazine quali Monocle o Wallpaper.
Ma gli architetti hanno ancora i soldi per viaggiare?
I miei viaggi si rivolgono ad un target di professionisti dai 40 anni in su, con due estremi: i 90 anni dell’architetto più anziano, maratoneta alle prime olimpiadi di Roma, e i 17 anni della mia più giovane mascotte, in training nel mio viaggio a New York per il suo corso di fotografia d’architettura
Si tratta generalmente di persone che possono permettersi di viaggiare con un certo comfort – non parliamo di viaggi di lusso, ma nemmeno di camerate condivise in ostello – architetti con studi avviati che anche nei primi anni della crisi, fra il 2009 e il 2012, resistevano bene. Nei due anni successivi, fino al 2014 diciamo, c’è stato il vero momento di difficoltà anche per loro e io mi sono trovata di conseguenza a dover ridimensionare la mia offerta, adattandola ai tempi, magari proponendo viaggi più brevi e mete europee al posto di destinazioni internazionali.
Ti posso dire però che negli ultimi tre anni ho notato una vera ripresa, con maggiore adesione alle mie proposte e una maggiore possibilità di spesa. Spero sia il segno che le cose si stiano mettendo al meglio e che tutti gli architetti possano finalmente tornare a permettersi di viaggiare, che sia da soli o in viaggi organizzati. Viaggiare – per chi fa la nostra professione – è un’esperienza irrinunciabile, e – se mi permetti un piccolo promo – viaggiando con me l’irrinunciabile diventa indimenticabile!
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Che bello, grazie Marta di aver condiviso questa intervista. Come architetta posso dire che viaggiare è una delle cose che più amo fare e con il mio compagno proprio da lì siamo partiti, Eravamo ancora amici e stavamo in Erasmus a Madrid. Tornavamo a piedi dalla città universitaria scegliendo sempre un percorso diverso. Era un’esplorazione e la cosa bella era condividerla. Abbiamo fatto tanti viaggi “architettonici” e trascinato tante persone a visitare quartieri o edifici spesso fuori dalle rotte turistiche. Dopo iniziali perplessità, sempre, sempre ci hanno ringraziato!! Però solo altri architetti possono intuire l’emozione di entrare alle Terme di Vals dopo averle disegnate per un esame anni ed anni prima..ancora oggi con i nostri figli proseguiamo, per quanto possibile, le nostre esplorazioni.Devo dire che ci danno soddisfazione anche loro e soprattutto dimostrano una resistenza (o si tratta di rassegnazione??!!) fuori dal comune…Certo al secondo giorno di biennale il piccolo ha esordito con “mamma ma ancora architettura oggi???!!!”. Non lo sanno che lo facciamo per loro, gliela vogliamo far odiare l’architettura, ah ah ah !!!!.. Emilia se cerchi collaboratori fai un fischio 😉
Tania, grazie per il commento!
Anche io amo viaggiare, credo che sia nella mia short list di cose che mi fanno più felice.
Bello il tuo racconto di esplorazioni urbane! Magari una volta approfondiamo 🙂
Capisco l’approccio coi tuoi figli, ma sono certa che otterrai l’effetto contrario 😛 A parte gli scherzi, è grazie ai miei genitori che oggi sono appassionata di viaggi, di arte, di architettura, di fotografia: sicuramente da adulti ve ne saranno molto grati!